Un incipit al giorno: Niccolò Ammaniti, Anna
Aveva tre, forse quattro anni. Era seduto composto sopra una poltroncina di finta pelle, il mento piegato sulla maglietta verde a maniche corte. Il risvolto dei jeans sulle scarpe da ginnastica. In una mano stringeva un trenino di legno che gli pendeva tra le gambe come un rosario.
Dall’altra parte della stanza la donna stesa sul letto poteva avere trenta come quarant’anni. Il braccio coperto di macchie rosse e croste scure era attaccato a una flebo vuota. Il virus l’aveva ridotta a uno scheletro ansimante, ricoperto di pelle secca e pustolosa, ma non era riuscito a strapparle tutta la bellezza, che si scorgeva nella forma degli zigomi e nel naso all’insú.
Il bambino sollevò il capo e la guardò, si aggrappò al bracciolo, scese dalla poltrona e con il trenino in mano si avvicinò al letto.
Lei non se ne accorse. Gli occhi, sprofondati dentro due pozze scure, fissavano il soffitto.