Un incipit al giorno: Kevin Brooks, Bunker diary
10.00 Ecco quello che so. Mi trovo in uno spazio rettangolare, col soffitto basso, tutto di cemento imbiancato. Largo dodici metri e lungo diciotto, più o meno. C’è un corridoio principale nel mezzo, con un altro più piccolo, perpendicolare, che porta a un ascensore. Lungo quello principale ci sono sei stanzette, tre per lato. Sono tutte uguali, tre per cinque, ciascuna arredata con un letto di ferro, una sedia con lo schienale rigido e un comodino. A un capo del corridoio c’è un bagno, a quello opposto c’è una cucina. Di fronte alla cucina, nel mezzo di uno spazio aperto, ci sono un tavolo rettangolare e sei sedie, tutti di legno. Nei tre angoli dello spazio aperto ci sono dei divani disposti a L. Non ci sono finestre. Non ci sono porte. L’unica via di entrata o di uscita è l’ascensore. Il posto è così, insomma: Nel bagno ci sono una vasca d’acciaio, un lavabo d’acciaio e una tazza del water. Niente specchio, niente armadietti, niente accessori. In cucina ci sono un lavello, un tavolo, delle sedie, un fornello elettrico, un piccolo frigo e un armadietto. Dentro ci sono una bacinella, sei piatti, sei bicchieri, sei tazze, sei set di posate, tutto di plastica. Perché sei? Non lo so. Qui ci sono solo io. Dà l’idea di essere sottoterra. Aria pesante, cemento, umido. Non che sia umido, dà solo l’impressione. E ha l’odore di un posto che è vecchio, ma nuovo. Un posto che esiste da tanto tempo, ma non è mai stato usato. Non ci sono interruttori, da nessuna parte. C’è un orologio su una parete del corridoio. Le luci si accendono alle otto di mattina e si spengono a mezzanotte. Da dentro ai muri arriva un ronzio basso e profondo.