L’incipit della settimana: Bart Moeyaert, Il club della via Lattea
Mio fratello usava ogni due per tre la parola uffi. non riusciva proprio a farne a meno. E intanto con il piede colpiva quello di Emma. Lei faceva finta di niente.
Per prima cosa, perché aveva avuto l’idea geniale di portarsi dietro un libro, un libro grosso. E seconda cosa, perché non era così facile farla arrabbiare, nemmeno dandole calci sempre più forte, come stava facendo Max.
Fui io a reagire al posto suo. “Dai, Max, piantala”.
Lui la piantò, tirò un grosso sospiro e ripeté ancora la parola: “Uffi, uffi, uffi“.
Si comportava come se quella parola fosse sua. Si sentiva subito, che non era sua e non lo sarebbe neanche mai stata. L’aveva presa dal giornale, da un trafiletto che parlava di un irlandese che da un giorno all’altro si era messo a usarla e non aveva più voluto saperne di smettere.
“Facciamo che questo è il nostro club?”, propose a un tratto Max.
Finalmente Emma staccò lo sguardo dal libro.
“Il nostro club?”, ripeté, e poi alzò gli occhi al cielo. “Questo posto? Sarebbe il primo club senza tetto che vedo in vita mia”.
“In Italia ce ne sono un sacco, di edifici senza tetto”, disse Max.
Lì per lì mi spaventai, a sentirlo parlare dell’Italia. C’era la mamma, in Italia.
Bart Moeyaert, Il club della via Lattea, traduzione dal nederlandese di Laura Pignatti, 2016, Sinnos, pp. 143, €12,00