Geraldine McCaughrean, Alla fine del mondo

Come ci si sente a pensare di essere soli. Abbandonati. Dimenticati da tutti gli amici e da tutti i parenti. Dimenticati perfino da Dio. Come ci si sente a non sapere cosa sia successo a tutti gli abitanti di Hirta. Per quale motivo dopo settimane e settimane passate a caccia di uccelli nessuno è tornato a riportare Quill e i suoi amici a casa. Queste sono solo alcune delle innumerevoli domande che Quill, i ragazzi più piccoli e quelli più grandi si pongono. Doveva essere un’uscita di 2 settimane a caccia di sule, di pulcinella e di fulmari ma si è trasformata in una lotta per la sopravvivenza. Ben presto ogni ragazzo rimasto intrappolato su quell’ammasso di roccia chiamata “Warrior Stac” si consuma alla ricerca di risposte plausibili. Alcuni ragazzi più piccoli si affidano alla religione. Gli uomini, invece, cercano spiegazioni razionali per non lasciarsi abbandonare alla disperazione del solo pensiero di non vedere più i loro figli. È in momenti come questi che due tipi di persone possono emergere: i “prepotenti”, che si approfittano della totale confusione per manipolare i ragazzi e creare un vero e proprio regime di peccati e punizioni, e gli “altruisti”, che farebbero di tutto per non far spaventare i più piccoli e consolare i più grandi. Quill è uno di loro, uno degli onesti, e farà di tutto per portare i suoi amici a casa. Per scoprire la verità. Dura e cruda che sia…

È impossibile negare che “Alla fine del mondo” sia un romanzo complesso, ricco di termini particolari e dal ritmo non sempre semplice da seguire. Tuttavia è un libro ricco di sentimento, di paure e carico di malinconia. Spesso possiamo percepire lo smarrimento e la paura che quei ragazzi provavano tra quelle mura di roccia. Consiglio questo libro a lettori in cerca di una sfida e di un libro carico di emozioni.

“Alla fine del mondo” e’ il romanzo vincitore della Carnegie Medal 2018.

Andrea Lazzerini Carri