Fedör Dostoevskij, Il sosia
Il racconto di Dostoevskij narra di quattro giornate molto particolari, vissute dal protagonista, il signor Goljadkin: quest’ultimo viene rappresentato come uomo del tutto rispettabile e pacato, ma se questo rimane invariato in tutto il racconto, ciò che si smentisce sono la serenità e la tranquillità d’animo che l’autore fa trasparire.
La vicenda si sviluppa interamente a Pietroburgo dove, la prima mattina, come ogni giorno, il signor Goljadkin si sveglia e si reca a lavoro. Al rientro, iniziano le stranezze che, da quel momento in poi, saranno protagoniste della vita del “nostro eroe”: egli infatti, mentre va in giro per la città preparandosi per una grande cena a casa del suo direttore, pare accorgersi di comportamenti ostili da parte dei colleghi d’ufficio incontrati per le vie. Il protagonista inizialmente associa gli accaduti all’invidia che gli altri potevano provare per il fatto che anche lui avesse ricevuto un invito, ma la sera stessa, quando si vedrà respinto dai padroni di casa, si renderà conto che l’odio derivava da motivi ben più seri. Nella fuga verso casa, il “nostro eroe” si imbatterà nell’incarnazione della sua piú grande follia: il sosia. Alterego del protagonista, nell’aspetto completamente somigliante a lui, quest’uomo sfacciato e immorale si impossesserà della vita di Goljadkin, facendogli perdere la stima che aveva guadagnato con amici e conoscenti in tanti anni.
O almeno, così vuole farci credere Dostoevskij: il vile gemello del protagonista è semplicemente uno specchio, rappresenta perfettamente le paure di un uomo che per anni si era impegnato a non indossare maschere, spiegando questa sua attitudine con la volontà di risultare sincero ma non rendendosi conto di aver paura di sé stesso.
A differenza dell’opera “Le notti bianche”, unico altro libro che avevo letto di questo autore, sebbene in entrambi i casi il linguaggio sia molto ricercato e privo di termini propriamente attuali, in questo caso ci troviamo davanti a numerose ripetizioni, a tratti fin troppo ridondanti, che infondono una strana calma, un senso di tormentata pace. E non solo in questo sta la grandezza di Dostoevskij, ma anche nel mantenere costantemente il suo ruolo, facendo sperare nella risoluzione delle disgrazie di un uomo folle, che nel corso del libro si appropriano del lettore: chi legge il romanzo non fa in tempo ad appropriarsi delle parole, che esse già lo hanno reso parte degli intrecci di una mente contorta.
Giulia Lanzafame