L’incipit della settimana: Deborah Ellis, Il gatto nella città dei sogni
Il mio nome è ancora Clare.
Non è cambiato, anche se nessuno lo usa più. Nessuno mi chiama più in nessun modo. Sono morta a tredici anni e quando sono rinata ero un gatto. Una gatta, per la precisione. Una gatta randagia in un posto strano, molto lontano da casa. Un attimo prima uscivo dalla mia scuola a Bethlehem, in Pennsylvania. Poi c’è stato un periodo di buio, come quando ci si addormenta. Al mio risveglio ero qui, a Betlemme: quella vera. Ed ero una gatta. Non so se è stato un incidente – qualcosa che si è inceppato nei meccanismi che regolano l’universo – o se Dio ha deciso di giocarmi un brutto tiro, o se è tutto un incubo e in realtà sono in coma all’ospedale di St. Luke. Nessuno mi ha detto nulla.
Ma sono andata al catechismo finché mia nonna era in vita, e nulla di quello che mi hanno raccontato sul paradiso e l’inferno si avvicina a quello che mi sta capitando.
Alcuni giorni fa è successo qualcosa. Non riesco a smettere di pensarci, eppure non sono una che perde tempo a rimuginare. Tutto è cominciato sul Grande Muro, dove mi ero seduta.
Deborah Ellis, Il gatto nella città dei sogni, Rizzoli, pp.165, € 16,00