L’incipit della settimana: Krystal Sutherland, I nostri cuori chimici
PER MOLTO TEMPO ho pensato che il momento in cui si incontra il grande amore della nostra vita dovesse somigliare alla scena di un film. Be’, non proprio uguale, ovviamente, con la sequenza al rallentatore, il vento che soffia tra i capelli e la musica a salire piano piano, ma credevo che almeno sarebbe successo qualcosa, capite? Il cuore che si ferma per un istante. L’anima che sussulta perché qualcosa dentro ti dice: «Merda! Eccola. Finalmente, dopo tutto questo tempo, è arrivata». Quando il secondo martedì dell’ultimo anno di liceo Grace Town arrivò con dieci minuti di ritardo alla lezione pomeridiana di teatro tenuta da Mrs Beady, non accadde nulla di tutto ciò. Grace era il genere di persona che si faceva notare in qualunque stanza entrasse, ma non per quel tipo di ragioni che suscitano un sentimento immediato ed eterno. Era alta nella media, di corporatura nella media, carina nella media, tutte cose che avrebbero dovuto facilitarle l’integrazione in un nuovo liceo senza la teatrale simbologia che di solito accompagna le storie di questo tipo.
Ma tre cose in lei saltavano subito all’occhio, prima che la sua ordinarietà arrivasse a salvarla:
1. Grace indossava abiti da ragazzo dalla testa ai piedi. Non parlo dello stile da maschiaccio tipico delle skater, ma di veri e propri vestiti da ragazzo troppo grandi per lei: i jeans che in teoria avrebbero dovuto essere aderenti erano tenuti su ai fianchi da una cintura. Nonostante fosse solo metà settembre, indossava maglione, camicia a quadri e berretto di lana, e una collanina di cuoio con un ciondolo a forma di ancora.
2. Grace non era l’immagine della pulizia né della salute. Voglio dire, ho visto drogati più in forma di lei quella mattina. (In realtà non ho visto tutti questi drogati, ma ho guardato The Wire e Breaking Bad, che non è poco.) I capelli, biondi, erano spettinati e tagliati male, la pelle era giallognola, e sono abbastanza sicuro che se quel giorno l’avessi annusata, avrei scoperto che puzzava.
3. Se tutto questo non fosse bastato per compromettere le sue possibilità di integrazione in un nuovo liceo, Grace Town camminava con un bastone.
È andata così. Così l’ho vista la prima volta. Niente scena al rallentatore, niente brezza, niente colonna sonora, e sicuramente nessun tuffo al cuore. Grace entrò zoppicando con dieci minuti di ritardo, in silenzio, come se fosse a casa sua, come se fosse nella nostra classe da anni, e forse perché era nuova, o perché era strana, o perché all’insegnante bastò osservarla per capire che una piccola parte della sua anima era incrinata, Mrs Beady non disse niente. Grace si sedette su una sedia in fondo all’aula di teatro dalle pareti nere, con il bastone appoggiato sulle cosce, e non rivolse la parola a nessuno per l’intera lezione. Io la guardai altre due volte, ma alla fine dell’ora mi ero dimenticato della sua presenza, e lei scivolò fuori senza che nessuno la notasse. Insomma, non è certo la storia di un amore a prima vista. Ma è una storia d’amore. Be’. Una specie.
Krystal Sutherland, I nostri cuori chimici, Rizzoli, 2016 (traduzione di Cristina Proto), pp.350, €17