Valérie Zenatti, Una bottiglia nel mare di Gaza
Avevate promesso una colomba…
Scrive Elie Wiesel: cosa può fare uno scrittore per aiutare il proprio paese? “Scrivere, creare storie che costringano il lettore ad entrare nella pelle di un altro. Anche quando l’altro è un nemico”.
Proprio in questi giorni, in cui il conflitto torna a scuotere le nostre coscienze di occidentali (solo) apparentemente impotenti, è opportuno cercare tra le righe dei libri la grammatica della pace. E se il mondo degli adulti ha troppe cicatrici da rimarginare, ecco che alla voglia di futuro dei ragazzi potrebbe essere affidata, al di fuori di ogni romantica retorica, la speranza del dialogo.
Una bottiglia nel mare di Gaza, pubblicato nel 2005, è il secondo libro tradotto in italiano di Valerie Zenatti, francese di origine ebraica, trasferita in Israele a 13 anni. Il suo primo romanzo, Quand’ero soldato, racconta la sua esperienza nell’esercito israeliano, obbligatoria per tutte le ragazze a 18 anni.
Una bottiglia nel mare di Gaza è un romanzo epistolare del XXI secolo: la storia si articola intorno alla corrispondenza fittizia, per e-mail, tra una liceale israeliana e un giovane palestinese. Ogni tanto, come controcanto alle mail, alcune pagine a metà tra diario e scrittura autobiografica. Tal, la protagonista, è una giovane benestante, che vive circondata dall’affetto di una famiglia serena e di un fidanzato premuroso; è noto, però che in Israele, questa vita apparentemente facile è minacciata quotidianamente dalla possibilità di un attentato, e scossa costantemente da una spirale di violenza apparentemente senza via d’uscita. I genitori di Tal sono tutt’altro che estremisti: hanno educato la figlia all’aspirazione alla pace, al desiderio di condividere la loro terra che pure amano visceralmente. Non stupisce quindi che, all’indomani dell’ennesimo attentato suicida, Tal decida di contribuire attivamente alla pace, scrivendo un messaggio a una coetanea palestinese, e affidandolo romanticamente ad una bottiglia, consegnata al fratello, militare a Gaza, affinché la getti tra le onde.
Il risultato è diverso dalle aspettative, e invece di una coetanea è un ragazzo a scrivere all’indirizzo mail creato per l’occasione. Il suo nick è Gazaman, e il suo atteggiamento contrasta decisamente con l’approccio amichevole di Tal: la prende in giro, anche duramente, fa attendere le sue risposte, rivela di sé molto meno dell’espansiva studentessa di Gerusalemme. Eppure, pagina dopo pagina, nei sei mesi in cui i due si scriveranno, ciascuno dei due scopre il dolore dell’altro: gli attentati, le rappresaglie, le vittime innocenti, la paura. Nessuno dei due, come invece accade intorno a loro, gioisce quando muore qualcuno in campo nemico, e anzi i due sussultano, attendono notizie, angosciati all’idea che possa essere capitato qualcosa di brutto. Perché questo è il potere della parola: a forza di scriversi, di insultarsi qualche volta, e comunque di prestare ascolto all’altro, Tal e Naim sono riusciti a creare un legame, che l’universo circostante, però, dominato da leggi “altre”, ignora, perpetrando un presente di sangue senza che loro possano opporvisi.
“Noi siamo i Romeo e Giulietta del terzo millennio, ma non c’è nessuno che possa raccontare la nostra storia”.
Matteo Biagi
Trovo questo articolo bello e molto affascinante. Non a caso si parla di un libro meraviglioso. Forse un po ‘ lungo, ma molto avvicente.
Grazie!