L’incipit della settimana: Martina Wildner, Sonnambuli, Maledizioni e lumache
I traslocatori sudavano e noi sudavamo. Faceva molto caldo quel giorno di agosto che ci trasferimmo nella casa grigia e un po’ diroccata, in fondo alla strada. «Favonio» spiegò mio padre mostrandomi le nuvole allungate che si stagliavano nel cielo. Dietro una collina spuntavano le Alpi, come se non distassero dal paese neanche un chilometro, quando in realtà erano lontane oltre venti chilometri. I mobili passarono uno dopo l’altro dal camion al vialetto d’accesso, pieno di muschio, e poi attraverso la porta d’ingresso di legno scuro dipinto. In effetti molte parti della casa erano state dipinte così: le travi del tetto, le cornici delle finestre, il rivestimento di legno e lo steccato a trama incrociata che circondava per due terzi il terreno.
In casa faceva freddo e, anche se non si trattava di una costruzione veramente vecchia, c’era un po’ di odore di muffa. Mio padre era in mezzo all’ingresso con il pavimento piastrellato di arancione a dare ordini:
«Il tavolo in cucina!», «Il tappeto su in camera da letto!», «La lavatrice in cantina!».
Il mio fratellino Eddi era seduto sui gradini davanti alla casa. Aveva trovato due lumache, una senza e una con il guscio. Già dopo mezz’ora i traslocatori fecero la prima pausa. Si appoggiarono al camion con mio padre e fumarono. Lui gli offrì della birra. Erano le due di pomeriggio.
Improvvisamente si sentì suonare una campana – non quella grande della chiesa del paese, ma quella della cappella vicino a casa. Era un suono acuto, quasi stridulo. La campana si mise a suonare velocemente, come se fosse senza fiato. Eddi alzò lo sguardo dalle sue lumache e fece una smorfia. Anche i traslocatori guardarono irritati verso la cappella.
Martina Wildner, Sonnambuli, maledizioni e lumache, traduzione dal tedesco di Anna Patrucco Becchi, Pelledoca, pp. 248, €16.