Al cinema: Tim Burton, Alice nel paese delle meraviglie
La felicità, forse, è propria di chi ha la capacità di vivere nel momento in cui questo si presenta. L’allineamento tra la lancetta del tempo personale e quella del tempo che realmente è. Un’armonia perfetta, irraggiungibile, di cui Alice è testimonianza esemplare. Alice si rimpicciolisce, si ingrandisce, è donna prudente, bambina vivace, è sognatrice di un mondo straordinario ma soffocata da un mondo spietatamente concreto. La sapiente regia di Tim Burton sa rappresentare con efficacia un’Alice che abita un mondo grigio e senza aspirazioni, guidato da un tempo tossico di incombenze, doveri e scadenze. Un mondo senza spazio per l’eccentrico né per la curiosità, un mondo senza tempo da perdere per indagare oltre le apparenze – la festa dove il lord Hamish Ascot chiede la mano di Alice è il ritratto di una società aristocratica governata da compostezza, rigore e soprattutto noia. Di contro, con il talento unico del regista nel dar vita alla dimensione onirica, un mondo ipnotico e frizzante popolato da creature meravigliose. Una caduta nell’infanzia dove l’unico imperativo è vivere spensieratamente, dove il tempo è scandito da grandi gesta e ricerca di avventure mozzafiato.
Nella versione cinematografica, Alice ha diciannove anni: il suo ritorno nel sottoterra è riscoperta di un mondo antico. Il Paese delle Meraviglie, però, le si prospetta con un ché di malinconico e decadente. Il Brucaliffo, saggissimo, è prossimo alla morte. Ha vissuto a lungo e conosce bene il mondo, è infastidito dalla curiosità di Alice che scambia per sciocca ingenuità infantile. Il Cappellaio Matto è triste, insoddisfatto. E’ la proiezione dell’adulto che ha rinunciato ai propri sogni, un personaggio dotato di una sensibilità rara senza più sfoghi. La Regina di Cuori è sola, gelosa, determinata e governata dall’ira. Le sue soluzioni drastiche – tagliare la testa – terrorizzano i sudditi e la porteranno a confondere ciò che è rispetto sincero con la semplice paura. Circondata da affetti tutt’altro che autentici, è a capo di un grande impero, ma fragilissimo (come un castello di carte). E’ solamente con un occhio più maturo che Alice si rende conto delle profonde somiglianze tra il mondo in superficie e quello suo delle meraviglie. Salvare l’infanzia, combatterne i demoni, rivalutarla criticamente saranno operazioni decisive per il viaggio di crescita di Alice. Crescere non significherà disprezzare il mondo della fanciullezza – come fa il Brucaliffo –, non sarà rinunciare alla stravaganza e all’immaginazione – come accade per il Cappellaio Matto –, né vivere in un mondo di maschere e falsità – come è quello della Regina di Cuori.
Un viaggio profondo, allegorico, emozionante all’interno di se stessi e delle proprie radici. A metà tra il sogno e l’incubo, Alice sarà protagonista di un’esplorazione spaventosa ma necessaria: la crescita. L’unica salvezza in questo lungo percorso è portare con sé le meraviglie del paese della fanciullezza: il coraggio di essere un po’ bambini nell’universo degli adulti.
Forse, quindi, la felicità è proprio questa. Affrettarsi, perché il Bianconiglio aspetta! Lentamente, perché c’è un bellissimo Paese delle Meraviglie da visitare.
Sebastiano Poli