L’incipit della settimana: Jessica Schiefauer, Girls

Ho una storia da raccontare, ma la mia storia non è per tutti. È un racconto per chi vuole vedere, per chi ha il coraggio di sollevare la lente d’ingrandimento davanti agli occhi e contemplare l’inimmaginabile. Se sei cieco riguardo a questo tipo di cose, la mia storia non fa per te, ma se sei pronto a guardare davvero, devi ascoltare attentamente.

La mia storia ha inizio in una radura, una sera di primavera in cui i tronchi degli abeti risplendono come brace. Il cielo è di un azzurro crepuscolare, il bosco è silenzioso e pacifico e attraverso le finestre sottili della vecchia casa risuona l’acuto e incalzante squillo di un telefono.

PRIMA PARTE

Resto impietrita, in giardino, ad ascoltare meravigliata l’eco di quel suono improvviso.
Il telefono della casa è un muto bestione messo su un tavolo, un antiquato marchingegno nero che da quando vivo qui non ha mai emesso un suono. Invece adesso stride, ancora e ancora, rauco come un vecchio cane. Getto via l’erbaccia, mi incammino titubante verso la casa e poso la mano sulla maniglia della porta. La apro senza sforzo e cammino sul pavimento di legno, seguita dal profumo del bosco all’imbrunire. Le mie dita umide e terrose si chiudono attorno alla cornetta, percepisco lo squillo come un ronzio nel palmo della mano. Alzo lentamente il ricevitore, tendo le orecchie. Il fruscio del mio respiro nel microfono rivela la mia presenza.
“Kim? Sei tu?”
La voce è invecchiata, ma la riconosco benissimo. Afferro la cornetta con entrambe le mani, la stringo con le dita sporche. Se le mie corde vocali non fossero arrugginite dal troppo silenzio adesso griderei, di timore e di gioia. Quando apro la bocca le parole trovano a malapena la via d’uscita: “Sì. Sono io”.
“Finalmente. Quanto ci ho messo a trovarti!”

Jessica Schiefauer, Girls, Feltrinelli (Up) 2016, pp.176, €13

Traduttore: Samanta K. Milton Knowles