Cristiano Cavina, Un’ultima stagione da esordienti

“Non vedo l’ora di diventare vecchio”, afferma il narratore-protagonista all’inizio dell’ultimo capitolo. Un’affermazione così netta sembra stonare, se a pronunciarla è un ragazzino di 14 anni, appena giunto al termine della sua “ultima stagione da esordienti”. Dietro a questa presa di posizione si nasconde la consapevolezza di un distacco doloroso, di una percezione dell’avvenire e dell’età adulta come un rischio, un abisso senza speranza.

La terza media è un’ultima stagione.

Dopo, impensabile pensare tutto il giorno alla partita, agli avversari, considerare il gruppo degli amici della squadra il perno della propria esistenza, annientare ogni preoccupazione, ogni momentaneo insuccesso in una rincorsa a perdifiato dietro al pallone.

Il terzo romanzo di Cristiano Cavina, ambientato come gli altri due nella sua casola Valsenio, ricostruisce sapientemente l’atmosfera tipica della provincia italiana degli anni ‘80, microcosmo i cui punti cardinali sono rappresentati dal campetto, dall’oratorio, dalla Casa del Popolo, i cui attori protagonisti sono personaggi caratterizzati da un soprannome, da un tic, da un gesto abituale. Il riferimento più evidente è Benni, sia per quanto riguarda l’ambientazione, che per la cifra stilistica, una simbiosi costante di ironia scanzonata e di sottesa amarezza.

E poi, l’amore per il calcio. Amore vero, profondo. Amore per un calcio povero, polveroso, che qualcuno nel frattempo ci ha portato via senza che ce ne accorgessimo, lasciandoci con l’amara consapevolezza di non riconoscerne più la magia, né nei lustrini della serie A, né purtroppo nei campi di periferia, dove adulti invadenti sotterrano di ansie troppo spesso i sogni dei ragazzi.